In occasione dell’uscita di “Ologenesi”, il nuovo album dei Little Pieces of Marmelade, ho scambiato due chiacchiere con il noise-duo che mi ha completamente rubato il cervello al primo ascolto.

Ph. Francesca Tilio

Ciao ragazzi, voglio partire subito da una domanda come ve la farei stando seduto sul divanetto di un bar, o al primo appuntamento: che musica ascoltate? Cioè, seriamente, mi avete completamente spappolato il cervello al primo ascolto. In One Cup of Happiness ci sento dagli White Stripes, ai Verdena di qualche decennio fa fino ai riff catatonici tipici dello stoner. Sono veramente curioso: da dove arrivano le vostre influenze?

Al primo appuntamento solo Berry White o i Gorgorot, tassativo!

Di musica ovviamente ne ascoltiamo tantissima quindi le influenze sono davvero tante. E oltre ad essere tante vanno davvero nelle direzioni più disparate. Da questo punto di vista siamo onnivori. Le nostre orecchie sono aperte a tutto dal Free Jazz al Crossover, dal cantautorato più struggente a Bello Figo. Ultimamente ti direi, Daniele Johnston, Death Grips, Sangue Misto, Verdena, Sleep.

Mi piace molto questo vostro approccio estremamente ostinato e contrario ai dettami di oggi: suoni sporchi e lo-fi ma nel senso più fangoso del termine, sperimentazione e attitudine sparata a mille. Chi ve lo fa fare? È un approccio coraggioso (e per fortuna!).

Hai detto bene, chi ce lo fa fare?

Coraggioso sì, può essere, ma non essendoci nulla di premeditato o prestabilito forse è più incoscienza nel senso più largo del termine che coraggio. Non è un gioco a tavolino, non stiamo seguendo regole, mode o strategie. Non ci sappiamo fare con le canzonette da copia e incolla.

Chi ce lo fa fare?! Non lo sappiamo… Ma siamo davvero fatti così. Per noi è naturale e ci divertiamo un sacco a fare tutto a modo nostro. Sarebbe molto frustrante se fosse il contrario. Amiamo il senso di libertà che, speriamo, si percepisca ascoltando le nostre canzoni. Non ci piacciono i limiti, non ci piacciono i paletti. Sappiamo da dove partiamo, di solito, ma non sappiamo dove arriveremo. Quando arriviamo però è una figata. Il percorso può essere anche tortuoso ma alla fine è sempre stimolante!

Vi divertite più a sperimentare, smontare e rimontare i riff, in studio/sala prove o vi gasate di più a portare il risultato del vostro bricolage sonoro e vedere la reazione della gente?

Ogni momento ha il suo bello. Sicuramente però, se parliamo di piacere in senso stretto sul palco ci divertiamo di più, molto di più. Sul palco si gode. C’è più elettricità, più energia. L’interazione con la gente è tutto, il rimbalzo di forze tra loro e noi è totale! È sempre una sensazione talmente straordinaria da essere indescrivibile, viviamo per quello…

L’alternativa potrebbe essere fare un disco col pubblico in studio.

Ph. Francesca Tilio

Ok, ho volutamente omesso nella prima domanda i riferimenti agli Afterhours (chiaramente un richiamo nel vostro sound va inevitabilmente a loro). Vi chiederei com’è stato lavorare con Manuel Agnelli, ma sappiamo tutti che già vi amavate a X Factor. È il primo lavoro che fate fuori dagli studi di X Factor o avete mantenuto costanti i rapporti con Manuel? Qual è l’aspetto che più vi ha trasmesso questo rapporto con un personaggio simile?

Amiamo gli Afterhours, hanno scritto canzoni assolute, ma in tutta onestà non sono mai stati un modello per noi dal punto di vista sonoro. Per questo Manuel ci ha portato in tour, perché voleva un suono diverso, un po’ più ‘marmellino’. Non avrebbe avuto senso, del resto, portare un repertorio degli Afterhours senza Afterhours ma con i suoni degli Afterhours.

Con Manuel ci siamo presi fin da subito, si è visto. Dopo XFactor abbiamo mantenuto e coltivato un buon rapporto e per noi oltre che un mentore è un grande amico, una persona dal cuore enorme. Ci ha dato e trasmesso tanto, anche per osmosi.

Per noi è stato un onore averlo avuto come produttore del nostro disco, ci ha spronato a scrivere in italiano e ci ha confermato che essere se stessi paga, essere la copia di qualcos’altro no.

Solitamente chiudo le interviste con la domanda sui dischi presenti in casa degli artisti, ma avendo già aperto con questo argomento vi chiedo: quali sono (se ci sono) i limiti e i vantaggi che riscontrate dal vostro approccio noise-duo? Cioè, inevitabilmente è “dura” in due coprire lo spazio (e lo spettro sonoro) di una band eppure ci riuscite alla grande, al contempo vi evitate sicuramente una serie di difficoltà dettate dai “componenti della famiglia”.

Grazie, ci fa molto piacere sentircelo dire. Onestamente sì, è dura coprire tutto, ma è anche divertente. Essere in due è sicuramente un limite ma proprio per questo cerchiamo sempre nuovi e continui escamotage. Il divertimento e la peculiarità stanno proprio lì. Forse sarebbe più facile inventarsi qualcosa avendo a disposizione tutto e di più, o forse no. In un certo senso crediamo che quando hai meno o in qualche modo sei limitato, la testa viaggia e vira su idee più interessanti, meno banali e meno noiose.

Un pensiero riguardo “INTERVISTA | Little Pieces of Marmelade: incoscienza d’assalto fuori da ogni regola

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