Sono nato nel 1985, ho vissuto l’adolescenza a cavallo tra la seconda metà degli anni ’90 e i primi 2000. Sono un millennial? Non lo so, non l’ho mai capita bene questa distinzione. Certo è che sono un figlio degli anni 90, ammesso che per figlianza s’intenda la parte cosciente della propria crescita.

La barba ha iniziato a striarsi di bianco da qualche anno e i capelli la seguono seppur con maggiore lentezza. Sì, per i giovincelli sono potenzialmente un vecchio (boomer!?). In effetti se guardo un diciottenne, ha tecnicamente vent’anni meno di me e potrei – posso dirlo! – essere suo padre, ma non lo sono. Però posso essere un amico più grande, quel consulente o mentore che guida e direziona un minimo nelle conoscenze culturali e identitarie che formano l’individuo più giovane. Il problema è che non trovo terreno fertile!

Sti ragazzetti senza rispetto, senza gusti musicali definiti – se non per quella porcheria riconoscibile dall’abuso di autotune – e smidollati non hanno interesse per nulla che non sia racchiuso in pochi pollici o pixel!

È davvero così? È (tutta) colpa loro? Pensiamoci.

ragazzi giovani in discoteca

Nel 2001 avevo 15-16 anni (dipende dal semestre), frequentavo discoteche tra cui le storiche Genux e Number One, giocavo a Carmageddon… ascoltando “Un giorno credi” di Bennato. Ok, se ci sono psicologi tra i lettori, mi offro volontario per un studio sulla pericolosità sociale del Vecchio Me. Andiamo un po’ più indietro: è il 1997, ho 12 anni, scopro “Breathe” dei Prodigy, “The Beautiful People” di Marylin Manson, l’album “ReLoad” dei Metallica e alla festicciola dell’ultimo dell’anno alla sala affittata in parrocchia sono io a portare le luci colorate che si accendono a ritmo di musica e che metto su “Altre F.D.V.” dei Bluvertigo. Capite lo squilibrio? Certo, com’è giusto che sia in un individuo che sta affrontando una propedeutica alla formazione di sé!

Ma perché nel 1997 scoprivo “XXX” dei Negrita, i “Mondi Sommersi” dei Litfiba o la “Tabula Rasa Elettrificata” dei C.S.I.?

Ero seriamente disturbato? Avevo i superpoteri? Ero un genio incompreso? Perché indossavo le Buffalo per poi passare alle Nike Classic, giocavo a schiacciare la gente in macchina (virtualmente!) ascoltando Bennato? Perché come tutti i ragazzini ero una lavagna bianca che in grande misura veniva scritta dal mondo che mi circondava, ero una spugna in cerca del piatto sporco da lavare. Perché ho passato un’infanzia ad addormentarmi con “Alla fiera dell’Est” e una fanciullezza dove rigorosamente, ogni domenica mattina, mia madre faceva i mestieri al suono di “Sono la pecora, sono la vacca, se agli animali si vuol giocare, sono la femmina a camicia aperta, piccole tette da succhiare.” a tutto volume, alternandosi con “Samarcanda”.

Signore e signori, la colpa è nostra o, per scroccare citazioni rock “È colpa mia!”

Proprio così. Non è che sta generazione senza valori, forse, non sia semplicemente ereditiera della nostra e di quella che ci ha preceduto? Non è che questi ragazzini siano lavagne bianche che non trovano i pennarelli per essere scritte?

Gli LP dei miei genitori mi hanno avvicinato ai cantautori.

I miei genitori mi hanno portato ai miei primi tre concerti (Vasco, Jovanotti, Litfiba), prima di imparare a essere autonomo, farmi la cresta e girare festival e centri sociali di mezza Italia.

Riccardo, amico di famiglia con un negozio di dischi e qualche anno in più di me mi ha accolto ogni pomeriggio ad ascoltare musica condividendo il suo sapere con me, sbarbatello arrogante confuso tra discoteca e concerti punk (in realtà in quel periodo avevo già abbandonato la mia Saturday Night Fever).

Mio zio aveva la colonnina porta cd coi Litfiba e i Pink Floyd.

Gli amici di mamma e papà mettevano su i Nomadi e sto sacrosanto “Pilota di Hiroshima” quando si cenava da loro.

conoscenze musicali e passione

Poi io e l’adolescenza abbiamo deviato verso un pizzico di scemenza discotecara, ma le basi c’erano, erano solide e belle. In breve tempo sarei tornato sulla retta via e oggi mi ritrovo con scatole piene di biglietti di concerti, una certa conoscenza musicale, due dischi prodotti con la mia band e la puzza sotto il naso del “Ah, ai miei tempi…”

Sul serio, forse sti poveri ragazzini non si trovano dei grandi esempi davanti.

Se al tempo passavo il martedì sera a mettere cotone e nastro adesivo per poter registrare le mie canzoni preferite che passavano in radio era perché qualcuno aveva inoculato in me il germe.

Se ripenso alla mia classe di terza media, non ne tiro fuori molti con una vera passione musicale. Lo dico obiettivamente, non dando o togliendo meriti a nessuno. Su 15-18 bambinetti che eravamo, ognuno ha fatto la sua strada e forse quattro oggi sanno appassionarsi a un concerto. Al tempo, lo ricordo bene, eravamo in due. L’altro era un amico che – guarda u po’ – aveva il fratello maggiore che ascoltata i Litfiba. Avevamo degli esempi!

Di fatto questi sono i nostri figli o i figli degli amici e forse qualcosa abbiamo sbagliato e stiamo sbagliando noi.

È troppo semplice accusare e inorridirsi sentendosi migliori perché i nostri tempi lo erano (cosa che diranno a loro volta ai nati nel 2023, tra qualche anno).

Si tratta della buona e vecchia ruota che gira, di un circolo che non potremo mai fermare, ma almeno potremmo, una buona volta, trasformarlo in virtuoso e non vizioso.

La Scimmia Verde

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