Quanto pesano le cicatrici incise nuovamente dentro di noi in questi ultimi anni di guerre, pandemie e crisi mondiali?
Siamo diventati estremamente vulnerabili, in maniera quasi volontaria, mettendo a nudo le nostre debolezze in un climax continuo che va di pari passo a un’implosione emozionale.
Non può esistere un reale controllo sulla “visione della realtà che ci rende liberi” e, quando questa va in frantumi subendo gli effetti di fatti improvvisi o inevitabili, rimaniamo tasselli di un puzzle che chiamiamo vita abbracciati al nostro buio come unica via di fuga dalla realtà stessa. È in atto un grande cambiamento, che percepiamo come un rumore bianco all’interno della nostra nera coscienza, un suono che ti destabilizza, una frase tra miliardi di parole che ti proietta in un altra dimensione.
“Il mio cielo nero” è l’interpretazione di come possiamo rendere la musica la nostra redenzione senza sforzarci di dimenticare chi siamo.

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