
Scomodi, pesanti se spostati nelle apposite valigette, da trattare con cura e attenzione, da spolverare prima dell’ascolto, costosi… ma chi te lo fa fare di ascoltare i dischi in vinile nel 2025?
“Aaah, ma come suona caldo il vinile, non ce n’è!”
Giura di non aver mai detto questa frase, giu-ra-lo!
Io sì, lo ammetto, lo confesso e lo rivendico! Ma, diciamocelo: a volte il vinile suona peggio del cuginetto ciddì (no, della versione liquida digitale non lo dirò mai!)
La verità è, ammettiamolo, che ci piace il rituale che sta dietro all’ascolto di una canzone, una scelta non-pratica di godere (non ‘fruire’) della musica. Sì, perché il disco in vinile, un po’ come un rapporto… fisico, necessita di preliminari, di gesti da compiere sapientemente e non con la foga del ragazzino al suo primo… ascolto, che basta un movimento sbagliato e ti giochi per sempre la serata. In fondo, uno sfregio della puntina sulla superficie illibata di un disco appena estratto dal suo indumento più intimo, la busta in carta, sarebbe imperdonabile, un atto blasfemo, che dimostrerebbe mancanza di tatto e di esperienza pregressa.
Non voglio parlare della qualità audio perché si aprirebbe un mondo in contrapposizione tra puri audiofili con impianti da mutuo e amanti delle emozioni e di quello scoppiettare che ci ricorda un piacevole falò invernale. Oggi parlo del significato più profondo che ha l’ascolto di questo supporto audio, anche perché sul serio, non è legge scolpita nella pietra che l’ascolto sia davvero migliore. Più autentico sicuramente.
Scegliere il vinile significa attesa, ricerca, ossessione, concentrazione, rischio, accettazione.
L’ascolto è la volata finale poiché è sì l’arrivo, il momento in cui ti siedi sulla tua poltroncina, lo osservi girare e godi del suo contenuto, ma è anche l’inizio di questo viaggio non solo sonoro.
Scegliere il disco in vinile significa dare valore al lavoro di tutti, dai musicisti, al fonico, al grafico alla stamperia. Vuol dire ascoltare le canzoni leggendone i testi, dopo aver osservato con cura copertina, crediti e ogni singolo dettaglio.
“Eeeh, ho capito, ma mica ho tempo di starmene lì così, a far niente!”
“Allora continua pure la tua nuotatina in superficie nell’oceano diluito di musica liquida, dove tutto sparisce nel tempo di un’onda, dove il vento dell’algoritmo sceglie per te, facendoti credere di proporti delle novità, ma in realtà è una corrente che ciclicamente ti riporta sotto al naso sempre la stessa acqua.”
Il vinile è un viaggio, guidato dai solchi che, come protezioni, ti accompagnano, un’oscillazione alla volta, nell’anima della musica.
Tutto e subito, tutto che si possa saltare, skippare, perché non abbiamo tempo da perdere. Invece io lo voglio perdere quel tempo, buttarlo via in un modo più sano che guardare la vita degli altri su un social network mentre la playlist del lunedì scivola silenziosa, come un rumorino di sottofondo, sotto alle mie giornate impegnatissime.
Voglio cercare, aspettare anche anni prima di trovare quel disco, che tanto desideravo. Voglio scorrere con le mie dita da ninja, una a una le copertine di cartone e polvere dentro alle casse, talvolta di plastica talvolta nei cartoni delle banane, e prenderli in mano, guardarli e non capirli. Pensare “Be’, potrei prendere questo” e poi dubitare: “Ma forse ce l’ho già” e scegliere se rischiare il doppione o correre il rischio di non trovarlo mai più.
Un problema che si pone solo dopo anni. All’inizio li compreresti tutti, li prendi tutti, devi fare volume. Vuoi riempire quel Kallax che hai destinato a custodire il tuo piccolo tesoro privato. Poi, per forza di cose, sei obbligato a darti delle regole, perché quello spazio è stato divorato da tutte le tue canzoni preferite.
Non passi oltre la canzone che non ti piace, aspetti che finisca e la ascolti, e pian piano anche lei trova il suo posticino nella tua memoria personale. Quando ami un disco, riesci a precedere l’inzio della canzone successiva, ne conosci l’ordine esatto. Il vinile ti chiede attenzione: attenzione nell’estrarlo, nel posizionarlo, nell’abbassare la puntina, nel fermarlo quando finisce il lato.
Del disco ascolti ogni traccia, ogni pausa, ogni silenzio tra una canzone e l’altra. Non ti metti a fare altro. Non è una comparsa, è il protagonista.
A volte emette un suono perfetto, che tra una traccia e l’altra si sente solo il lieve moto ondulatorio che culla la puntina; altre volte sembra di avere la testa nel camino alimentato da legna troppo umida per bruciare, ma è fatto così, è un essere unico e come tale va rispettato con pregi e difetti perché, nonostante la scomodità e le attenzioni che ti chiede, a volte è il tuo più fedele amico, quello che ha coperto con la sua voce i singhiozzi di un pianto o i pensieri che ti urlavano nella testa.
Quella che sembra semplicemente la versione complessa e nerd dell’ascolto di una canzone è in realtà un viaggio, un rapporto a due, non con un oggetto, ma con il testimone che alcune persone, che lì dentro ci hanno messo cuore, gioie e sofferenze, hanno deciso di lasciarti per accompagnarti nel tuo cammino. Ecco cosa significa ascoltare un vinile.
Stay lento, perdi tempo.
La Scimmia Verde

Un pensiero riguardo “Caro amico ti ascolto: la magia dentro al rituale in vinile”