In occasione della pubblicazione del singolo e videoclip “Glenn Miller”, ho fatto due chiacchiere con i Nobraino per raccogliere informazioni, punti di vista e aneddoti da chi ha alle spalle innumerevoli concerti ed esperienze sopra al palco (e in platea).

Nobraino - Glenn Miller

Cosa vi ha spinto a scrivere un pezzo su questo tema?

L’informazione e la sua manipolazione sembrano un argomento recente, in realtà è vecchio quanto la storia. Riuscire a controllare i dati è da sempre l’arma più potente di tutte. Se ci metti in mezzo un grandissimo musicista del secolo scorso, il jazz, un po’ di mistero…
Come si faceva a non scrivere questa canzone?

Come mai la scelta di Glenn Miller come portavoce del verbo?

Il brano, al di là del testo, è nel suo insieme una perfetta sintesi della modo di fare musica dei Nobraino . Ci sono un po’ tutti gli ingredienti storici ed era perfetto per descrivere lo stato dell’arte di un gruppo che ha deciso di riprendere il proprio lavoro ne più e ne meno da dove lo avevo lasciato 8 anni or sono.

Oltre al pubblico che tende sempre più a partecipare ai grandi eventi c’è anche una seria difficoltà da parte delle piccole realtà a poter proporre live a causa di burocrazia, normative e costi (vedi anche piccole associazioni). Due domande, la prima: secondo voi è cambiato l’approccio del pubblico o sta sparendo proprio quello dei piccoli concerti? La seconda è: perché secondo voi la gente preferisce il mega evento (decisamente più oneroso) a una situazione simile a quella riportata nel vostro video?

I piccoli eventi richiedono una partecipazione più faticosa, più emotiva. Ragioniamo per
estremi: il numero minimo di persone che possono comporre un pubblico è 1. Cosa succede se quell’uno si annoia, si distrae, sta al telefono, vuole farsi un giro? Non può farlo perché sennò il concerto muore. Ne possiamo dedurre che più il concerto è piccolo più sarà la responsabilità del pubblico. Allo stesso tempo l’intimità che lega artista e pubblico in questo caso è tale da permettere dei trasferimenti di emozioni molto forti, ma se vogliamo anch’essi impegnativi emotivamente parlando.

Viceversa: qual è il numero massimo di persone partecipanti ad un grande evento? A quanto pare 225.000 (record mondiale stabilito da Vasco al Modena Park luglio 2017). In mezzo ad un quarto di milione di persone quanto può contare la nostra partecipazione ad un evento? Siamo liberi di chiacchierare, bere, mangiare, fare un giro, distrarci. Il tutto a volte a centinaia di metri dall’artista che si sta esibendo e che a sua volta influisce pochissimo su di noi.

Di situazioni ne avrete viste tante e molto diverse tra loro ed essendovi esibiti su entrambe le tipologie di palco, quali sono gli aspetti di una e dell’altra situazione che vi piacciono di più o di meno?

Sopra a certi numeri (vedi primi maggio Taranto e Roma per esempio) diventa una situazione abbastanza indistinguibile e paradossale, da un lato l’abisso interminabile della folla, dall’altro un senso di profondo distacco perché creare una connessione vera ti sembra sovrumano. Pubblici nostri sopra le 2000 persone non ne abbiamo avuti ma dentro a questi numeri ovviamente tutto diventa più umano ed è chiaro che riempire certe sale è sempre molto emozionante e adrenalinico. Il desiderio resta sempre e comunque riuscire a toccare con mano le persone che hai davanti e per questo nei concerti più piccoli viviamo questa dimensione totalmente promiscua dove (io personalmente) ci si butta volentieri in platea per andare a toccare con mano quell’affetto per il quale facciamo quello che facciamo.

Cosa vi manca di più dei vostri esordi e di momenti vissuti in questo modo?

La resistenza.

Secondo voi quale sarà la direzione? Ci sarà un ritorno ai piccoli live o sono destinati a finire negli album dei ricordi del “ai miei tempi si andava…”?

Volendo fare i futurologi si potrebbe dire che mentre tutto diventa irrimediabilmente virtuale si staglieranno sempre più distinte nelle nostre vite le esperienze concrete. Mi auguro che oltre ad esserci un folto pubblico che consumerà sempre di più una vita smaterializzata e insapore, cresca anche chi sempre di più andrà in cerca di esperienze reali, volgari e concrete, piene di difetti, incongruenze non quantizzabili che di digitale avranno solo l’impronta, perché saranno 100% fatte a mano.

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