A cura di Gianni Della Cioppa
È partita la stagione estiva dei tour all’aperto e ci sembra il momento giusto per chiederci: qual è il motivo che induce artisti italiani di grande successo ad ingaggiare musicisti stranieri? Il talento? L’immagine? I costi? Proviamo a dare una risposta.
Partiamo facendo chiarezza: non è un’invasione. Al contrario si tratta di situazioni se vogliamo sporadiche, ma che meritano comunque una riflessione. Perché giganti del calibro di Eros Ramazzotti, Vasco Rossi, Claudio Baglioni, Laura Pausini, Jovanotti, Ligabue, Tiziano Ferro, Zucchero, per fare dei nomi di serie A, sentono l’esigenza di avere in formazione, soprattutto in concerto, musicisti non italiani? Non credo che si tratti di valore artistico, da tempo non esiste più una forbice tra Italia e resto del mondo, ci sono buonissimi professionisti da noi come è evidente fuori dai nostri confini. È una questione di costi? Dubito che l’ingaggio di un musicista straniero sia più economico. Sfoggiare nomi esteri regala maggior prestigio agli occhi del pubblico? Assolutamente no, perché, salvo qualche fedelissimo che negli anni si è guadagnato l’affetto del pubblico (penso a Federico Poggipollini con Ligabue, Claudio Golinelli con Vasco, Saturnino con Jovanotti, Nicola “Ballo” con Cesare Cremonini e pochi altri), i fan italiani non conoscono nemmeno i nomi dei musicisti dei loro idoli (Molto triste ma vero, nda) e si limitano ad un applauso di circostanza
quando vengono presentati duranti gli spettacoli.

E allora perché? Non credo che ci sia una risposta che chiarisca definitivamente questo aspetto. È palese che i musicisti sono liberi di ingaggiare chi preferiscono, ma la sensazione è che alcune volte le scelte siano figlie di patti, scambi di favori e amicizie, magari tra manager e direttori artistici o di chissà quali strategie da retrobottega. Ed anche se tutto fosse
trasparente, come certamente ci diranno i diretti interessati, dovessero leggere questo articolo, dispiace, perché far suonare i musicisti italiani, farebbe maturare l’esperienza generale dei nostri musicisti, che poi porterebbero nelle scuole o nelle proprie band con cui suonano e creano, un importante valore aggiunto, che si tramuterebbe in una crescita
generale dell’intero movimento musicale nazionale. Infatti è bene chiarire che quasi nessun turnista può permettersi di vivere solo con gli ingaggi in tour dei loro datori di lavoro e questo nonostante la fama del nome per cui suonano. La cosa cambia se il musicista è anche compositore e quindi porta a casa a fine anno i dividendi delle royalties, in parole semplici dei diritti d’autore. Ma si tratta di pochi fortunati, basta leggere i nomi dei compositori dei brani dei big della canzone italiana, frutto quasi sempre del cantante stesso o di grandi firme esterne. Ecco perché è veramente importante offrire occasioni ai musicisti nostrani: per permettere all’intero panorama italiano di beneficiarne a caduta nel tempo. Facendo un passo indietro di alcuni decenni, con l’avvento del beat italiano, i nostri giovani musicisti maturarono in breve tempo, proprio perché si confrontarono con un repertorio straniero (elaborandolo con testi in italiano), ma dovettero sbrigarsela da soli, o con l’aiuto di bravi produttori, e il risultato fu ottimo. Ed anzi la faccenda si ribaltò: infatti quando alcune band inglesi vennero a cercare fortuna in Italia, convinte di avere vita facile, scoprirono presto che qui non eravamo il terzo mondo del pop, ma al contrario i musicisti erano bravi e preparati. Oggi invece in alcuni ruoli, soprattutto batteria e basso, ma anche chitarra, i nostri musicisti si trovano messi da parte senza un motivo reale, perché nessun fan noterà mai una minima differenza nell’esecuzione del repertorio dei propri idoli se suonato da tali Girolli o Smiths.
Insomma la discussione è aperta. Io però faccio il tifo per gli azzurri. E voi?
